'La fine delle mafie: - a lezione da Giovanni Falcone'
Intervista all'autore, il giudice Alessandro Bellardita
Quali motivi L'hanno spinta a scrivere questo libro?
Questo libro nasce anni fa, quando ho cominciato a cercare di capire i meccanismi della criminalità organizzata dal punto di vista giuridico e soprattutto costituzionale. Quando si riflette sulla mafia, specialmente dal punto di vista italotedesco come nel mio caso, non si può fare a meno di formarsi usando come spunti le grandi menti dell'antimafia italiana, leggendo quello che ha scritto Giovanni Falcone. Purtroppo non ha scritto molto: a parte i suoi interventi in alcune riviste, giuridiche e non, la sua analisi più profonda la offre in Cose di Cosa Nostra, scritto con Marcelle Padovani, un libro ormai diventato un classico. Cose di Cosa Nostra mi accompagna da quando avevo 15 anni, ho addirittura la prima edizione del ‘93, in tedesco uscì con il titolo Mafia intern, che rende ancor più chiaro di cosa vuole parlare Giovanni Falcone, perché in quel libro finalmente la mafia viene appunto analizzata dall’interno. Quello che ho cercato di fare nel mio libro La fine delle mafie è di partire dal sogno, dal fine ultimo di Giovanni Falcone, che era quello di sconfiggere le mafie, intento condiviso da tutto il pool e anche dalla Primavera Palermitana, e cercare di capire dove si sia infranto questo sogno, come mai non siamo riusciti ad andare veramente un passo avanti e come si potrebbe ripartire da quel sogno di vedere una società che finalmente si libera dal male della mafia. Dunque bisogna partire dalle riflessioni di Falcone per capire cos'è veramente la mafia, ovviamente lui si riferisce più che altro a Cosa Nostra, ma molti suoi pensieri si possono generalizzare e riferire anche ad altre mafie, come la ‘ndrangheta. Poi, e questo è il mio lavoro nello specifico, ho cercato di capire cosa fa della società civile e dei diritti civili la mafia. La mafia, in fondo è antidemocratica, è contro la parità tra uomo e donna e assolutamente contro l’opinione libera e la libertà di espressione, sono purtroppo stati uccisi anche tantissimi giornalisti in Italia. La mafia dal punto di vista del senso dello stato ne costituisce l’antitesi. Partendo da questi principi fondamentali della nostra costruzione anche di quella tedesca, ho cercato di analizzare quanto la mafia fa male al nostro sistema: è un punto di vista che cerca di trasmettere i valori che noi chiamiamo democrazia, stato di diritto, senso dello stato e, soprattutto, libertà.
Il volume è basato sulle parole e sul metodo investigativo di Giovanni Falcone, ci può riassumere i punti cardine del suo lavoro e l'originalità del suo insegnamento?
Giovanni Falcone è colui che ha intuito per primo che per cercare di sconfiggere veramente la mafia bisogna andare a colpire non tanto il reato visibile, l'omicidio, il traffico di droghe, l’estorsione o il racket, ma piuttosto lo scopo vero e proprio di tutte le cosche mafiose, ovvero trarre profitto economico e, attraverso di esso, ottenere il potere sul territorio. Il metodo Falcone, che viene anche studiato qui in Germania, si serve di questi reati come tracce da seguire. Falcone ha potuto usufruire di una grande riforma del codice penale: nel settembre del 1982, dopo l'uccisione di Pio La Torre e del generale dalla Chiesa, fu finalmente istituita una legge sulla mafia che consentiva di contrastare i mafiosi in quanto mafiosi. Il 416 bis è una norma fondamentale perché criminalizza la persona del mafioso e dunque nessun politico poteva più negare l'esistenza della mafia, cosa che succedeva fino a quegli anni. Questa importantissima legge venne usata da Falcone per istituire il maxi processo, il più grande processo contro la mafia degli anni ‘80. Per capire la grandezza del maxiprocesso e questo grande spirito di sacrificio, come lui stesso lo chiamava, che era il senso dello stato, bisogna considerare alcuni dati: un dato che, dal punto di vista di un magistrato, risulta più chiaro, è che la requisitoria, l'atto d'accusa del maxiprocesso, è costituita da 28 volumi, per un totale di circa 8000 pagine, da cui si capisce quanto lavoro c’è stato dietro. Inoltre l’aula bunker venne costruita in pochissimi mesi e gli indagati erano quattrocentosettantacinque, la stragrande maggioranza dei quali vennero condannati, che è stato poi il motivo per cui Giovanni Falcone ha dovuto subire l’attentato, perché Cosa Nostra pensava di riuscire anche questa volta a sistemare a suo favore le sentenze in Cassazione. Il fatto che in quell’occasione non ci sia riuscita è uno dei motivi alla base dei numerosi omicidi di quel bruttissimo 1992. Giovanni Falcone viene spesso definito un eroe dell’antimafia, in realtà è proprio il simbolo dell’antimafia, come spirito e come metodo di lavoro. Forse è stato l’unico a capire fino in fondo la mafia e i suoi meccanismi per cui, se da una parte era un investigatore anche molto serio e severo, dall'altra parte era un garantista, motivo per cui si scontrò con figure politiche importanti che lo accusarono di non andare veramente fino in fondo, anche se era proprio quello che faceva, ma agendo nell'ambito di quello che gli consentiva il diritto e lo stato stesso, rispettava le leggi e questo gli rendeva sicuramente onore.
Quale messaggio risulta attuale e prezioso per le nuove generazioni?
Il messaggio più importante in assoluto è quello di crederci, non nel senso passivo del termine, cioè credere nel senso di sperare che prima o poi la mafia prima o poi sparisca, ma crederci impegnandosi ogni giorno, anche nella lotta contro le mafie e Giovanni Falcone ci ha lasciato in eredità un messaggio importante: lui parla sempre di società civile, e di questo ne sono convinto anch’io, il compito di ognuno di noi, indipendentemente dal lavoro che facciamo, è quello di cercare di tramandare e di far capire a tutti, non solo ai giovani ma a tutti quelli che magari per un motivo o l'altro relativizzano o ridicolizzano in maniera assurda la mafia, che la mafia appunto è indegna di una società civile e dunque si combatte ogni giorno anche soltanto rispettando le regole e che non è indegno chi denuncia, non è indegno il pentito che offre delle informazioni importanti per le indagini, non è assolutamente indegno un poliziotto che fa il suo lavoro come lo stesso magistrato, come il politico che cerca di fare luce, ma che in realtà è indegna la mafia e ogni mafioso. Questo è un messaggio importantissimo perché purtroppo, in parte a causa di una cultura forse intrinseca del meridione, in parte a causa di questa cultura pop dei film hollywoodiani, si è fatto della mafia qualcosa di folkloristico, qualcosa in un certo senso di positivo, con i concetti come ‘uomo d’onore’. Giovanni Falcone ha dimostrato, anche grazie alle testimonianze di Buscetta, che non c’è niente di degno nella mafia.
Secondo la Sua esperienza, qual è la percezione del fenomeno mafioso qui in Germania, sia dal punto di vista legale che culturale? Le leggi tedesche sono sufficienti a tutelare la nazione da eventuali infiltrazioni?
Nel mio libro cito un piccolissimo episodio esemplare per far capire qual è la percezione da parte dei tedeschi della mafia: era un giorno qualunque e mi trovavo in pretura come procuratore, in udienza nell’aula entra l’avvocato, che conoscevo poco ma era una persona simpatica, e, forse per via dei capelli pettinati con il gel all’indietro, mi dice che quel giorno sembravo davvero un mafioso, intendendo farmi un complimento. Da questo si intuisce in che situazione assurda ci troviamo qui Germania, io direi addirittura che attualmente ci troviamo più o meno come nell’Italia della fine degli anni ‘70, quando ancora non c'era nessun politico che apertamente parlava di mafia, i primi a pronunciare la parola mafia sono stati Pio La Torre e Piersanti Mattarella, Cosa Nostra non si conosceva neanche, prima di Buscetta. In Germania nessun politico parla di mafia apertamente, negli ultimi tre contratti di coalizione che sono stati fatti, sia da parte della grande coalizione ma anche l'ultimo della Ampelkoalition, la parola mafia non compare, si parla in generale di criminalità organizzata, intesa come clan, cosche, specialmente in riferimento alle cosche libanesi nel nord della Germania, o alle bande di motociclisti che controllano il traffico di sostanze stupefacenti, ma non di vera e proprio lotta alla mafia e, purtroppo, da questa vera e propria ignoranza da parte della politica nasce una delle lacune più importanti del nostro ordinamento penale in Germania. Lo spazio normativo tedesco contro tutte le organizzazioni criminali, ma soprattutto contro la mafia, è assurdamente pieno di lacune, non esiste un 416 bis, esiste l’associazione a delinquere semplice ma non quella a stampo mafioso. I giuristi tedeschi, quando si parla di questo tema, rispondono che in Italia la mafia è radicata sul territorio e che è un qualcosa di culturale, mentre qui in Germania è solo importata, dunque non è considerato un problema radicato sul territorio stesso. Questo approccio è completamente sbagliato, perché la mafia in Germania esiste, ovviamente ha una fenomenologia diversa rispetto a quella italiana per certi aspetti, però i metodi mafiosi sono identici. La mafia non è più una struttura che si nutre di racket come fino alla fine degli anni '70, ora la mafia è quella dei colletti bianchi, che fa riciclaggio e riesce a gestire miliardi, in maniera ormai ‘semilegale’ e dunque se non vengono adottate quelle misure che in Italia sono state fondamentali qui non faremo mai un passo in avanti.
Ci sono delle possibili soluzioni?
Io penso che una possibilità potrebbe essere l’Unione Europea, ad esempio con la procura europea. Una piccola luce l’ho intravista un paio di anni fa quando la corte di giustizia europea ha detto chiaramente che la Germania non ha una magistratura indipendente e pensavo questo potesse spingere qualche politico a modificare la situazione. In Italia esiste il Consiglio Superiore della Magistratura, che è spesso criticato ma che è fondamentale come istituzione, perché permette che tutta la giustizia, e dunque anche la magistratura come parte della giustizia, venga amministrata dai giudici stessi e non dalla politica. Il fatto che ci siano correnti politiche nel CSM è ovvio, perché siamo in una democrazia e tutte le istituzioni, anche quelle che non sono direttamente politiche, debbono avere correnti politiche, altrimenti ci sarebbe il rischio di un conflitto perenne. In Germania il principio secondo cui un giudice deve essere indipendente vale esclusivamente per i giudici, ma i procuratori purtroppo non sono indipendenti e questo è uno dei punti cardine da rivedere. Manca anche una legge sui pentiti, anche la legge sul riciclaggio è troppo complessa ed esclusivamente legata all’atto criminale del riciclaggio, manca la possibilità che in Italia è offerta dal 416 bis di poter indagare una persona e cercare di bloccargli il patrimonio avendo le prove del suo essere mafioso. Manca anche una super magistratura, quella che in Italia è la procura antimafia, anche la procura europea stessa si occupa di altre cose, è stata finalmente istituita, ma si occupa di truffe ai danni dei fondi europei.
Come si potrebbero prevenire o sfatare gli stereotipi verso la Mafia o il "tutti gli italiani sono mafiosi" (in Germania, ma più in generale anche nel mondo)?
Nel nostro piccolo dinanzi a una battuta o un’associazione del tipo “Sicilia è uguale mafia”, la risposta da dare è “Sicilia è antimafia”, conoscere i personaggi che hanno fatto grande l’antimafia è importante anche per saper dare la giusta risposta a una battuta. Si inizia da lì, dal piccolo. Per quanto riguarda la cultura, direi che in Germania abbiamo bisogno proprio di una cultura antimafia, ci sono alcune associazioni che vanno in questa direzione, Mafia? Nein Danke! è un esempio, ma è ancora troppo poco e non è ancora radicata nel territorio tedesco come in Italia è Libera. Bisogna cercare di far cambiare ottica ai tedeschi, smettere di considerare la mafia come un fenomeno italiano, russo o albanese ma, visto che in Italia fa parte dell'Europa, di considerarlo un fenomeno europeo. Quando muore un magistrato o un giornalista italiano è come se morisse un magistrato o un giornalista europeo e dunque, in senso lato, anche tedesco. Parlare dei morti e dei martiri della mafia, anche se può sembrare un po’ macabro, è importante anche in Germania, non bisogna rinchiudersi nel nostro piccolo mondo italotedesco, ma informare soprattutto la gente che considera la mafia quasi un fenomeno folkloristico.
Dove si potrebbero sensibilizzare le persone a questo tema?
Sono del parere che le scuole sono fondamentali per divulgare la cultura della legalità fra i ragazzi. Mentre in Italia è un progetto molto sentito, qui in Germania manca. Il livello istituzionale è anche estremamente importante, è necessario sfruttare le occasioni di incontro politiche per affrontare il tema della mafia. Ogni volta che parliamo di mafia andiamo nella direzione giusta, però bisogna farlo ostinatamente nella direzione di Giovanni Falcone e non di quella di un film di Scorsese. Il problema fondamentale è quello di decostruire, di smascherare la visione ‘eroica’ del mafioso, che in Germania è ancora presente e da cui derivano le tante banalità che spesso leggiamo sui giornali. Ad esempio, il giro di medici scoperto a fare delle truffe sul vaccino anti-covid subito ridenominato Ärzte-Mafia. Questo uso inflazionato della parola mafia, che contribuisce a banalizzare il fenomeno, è sbagliato. Bisogna diffondere la consapevolezza della serietà della mafia, far capire che lasciar radicare un mafioso sul territorio tedesco comporta un danno perenne per la società tedesca.
Da dove nascono queste percezioni stereotipate dei mafiosi?
Lo stereotipo eroico del mafioso è nato in Italia stessa, perché c'è questa leggenda della mafia ‘buona’ che andava a riempire gli spazi che lo stato aveva lasciato incustoditi durante il Regno delle Due Sicilie, dei mafiosi che offrivano una sorta di welfare criminale. Molto diffusa è anche la teoria della prima mafia come mafia d’onore, poi rovinata dall’arrivo dei corleonesi. In realtà sono narrazioni molto italiane, poi amplificate dai film, dalla cultura pop, ma in realtà l’omertà su cui si basa la mafia è tutt’altro che eroica, è vigliacca, così come sono antieroiche le uccisioni e gli altri crimini mafiosi.
Ci sono delle associazioni in Baviera a cui possono rivolgersi le persone colpite dalla mafia? A quali enti o istituzioni si deve fare riferimento?
In Baviera in particolare non sono sicuro, ma mi sorprenderebbe se non ci fosse neanche minimamente, nel Baden-Württemberg ad esempio è stato istituito già da qualche anno una specie di ‘telefono azzurro’, un numero che le persone vittime di mafia o che vogliano denunciare possono liberamente utilizzare. Sicuramente la cosa più importante è rivolgersi alle procure stesse, che sono le istituzioni preposte. Ci sono poi le associazioni come Mafia? Nein, Danke! e ai giornalisti che sono dietro queste associazioni. I giornalisti possono parlare del fenomeno mafioso senza dover citare la fonte, ovviamente senza far nomi, e dunque chi ha contatti diretti con la mafia e non può uscirne per paura può comunque divulgare la sua esperienza.
23 maggio 1992
Il 23 maggio 1992 il magistrato Giovanni Falcone viene brutalmente assassinato sull’autostrada Palermo-Trapani, presso Capaci. Gli attentatori fecero esplodere un tratto dell'autostrada con una carica di 500 kg di tritolo, mentre vi transitavano le tre auto blindate del magistrato e della sua scorta. Insieme al giudice Falcone, perirono nell’attentato la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. Vi furono, inoltre, altri 23 feriti.
Sara Sparagna