Il Thesaurus linguae Latinae è un monumentale dizionario della lingua latina, iniziato nel 1894 grazie all’accordo di cinque Accademie delle Scienze (Berlino, Gottinga, Lipsia, Monaco e Vienna).
Padre fondatore del progetto di un lessico completo della lingua latina fu Eduard Wölfflin, il cui busto ci accoglie nell’atrio della sede, sita al secondo piano della Residenz di Monaco di Baviera.
Il primo fascicolo del dizionario ha visto la luce nel lontano 1900, attualmente vengono pubblicati i fascicoli relativi alla R e si sta contestualmente lavorando per ultimare la lettera N.
Al TLL lavorano lessicografi fissi ed altri studiosi temporaneamente assunti attraverso borse di studio, in un ambiente fortemente internazionale.
Nella sede, previa autorizzazione della segreteria, gli studiosi interessati possono consultare una ricca biblioteca, che ha la peculiarità di essere utilmente disposta per ordine cronologico degli autori (non alfabetico), e visionare le famose Zettel, su cui si trovano le attestazioni dei lemmi. Alcune di queste sono antichissime, redatte a mano dai primi filologi che collaborarono a questo progetto epocale.
Roberta Marchionni, nata a Fano l'11 ottobre 1965, ha studiato all'università di Urbino, dopodichè, grazie ad una borsa di studio, si è trasferita in Germania, a Monaco, per collaborare con il Thesaurus linguae Latinae. Ha poi lavorato all'Università di Amburgo, dove ha conseguito il dottorato di ricerca, e a Berlino, presso il Corpus inscriptionum Latinarum. Dal 2013 è tornata al Thesaurus (il suo 'Traumjob'). È sposata con un giornalista e ha due figli.
Le foto di questa pagina sono state realizzate da Laura Räuber della BAdW.
1. In cosa consiste il Suo lavoro?
Il mio lavoro consiste nello scrivere ‘biografie di parole’. Di una parola, infatti, indaghiamo la nascita, i genitori (l’etimologia), cosa ha fatto nella vita, chi ha incontrato (i nessi, i contesti), cosa ne ha determinato i cambiamenti, tutte le avventure insomma. L’unica differenza tra la biografia di una persona e quella di una parola deriva dal fatto che la vita umana è relativamente breve, mentre una parola vive per periodi lunghissimi, nasce, ma non è detto che muoia. Si pensi a tutte le parole latine che sopravvivono nelle lingue romanze, tantissime nell'italiano. Anche sotto questo punto di vista andrebbe tra l’altro rivisto l’idea del latino come lingua morta.
Il tesaurista riceve una cassetta con le attestazioni della parola latina dalla sua comparsa fino a Isidoro, quindi fino all’inizio del VII secolo dopo Cristo. Vengono prese in considerazione tutte le occorrenze in tutti i tipi di testi, non solo in Virgilio o negli autori classici, dunque, ma anche in testi di medicina, di botanica, in testi giuridici, nelle traduzioni della Bibbia, insomma si vaglia tutto quello che è stato scritto in mille anni di latinità. In base a quanto leggiamo, alle differenze che avvertiamo negli usi della parola, cominciamo a creare quella che in tedesco si chiama Gliederung, la disposizione. Ed è proprio questa la grande differenza con gli altri dizionari: da un lato nel Thesaurus non si trova il significato della parola, anche perché noi scriviamo in latino, ma una spiegazione, un interpretamentum; dall’altro facciamo vedere, proprio attraverso la Gliederung, la storia e l’evoluzione della parola ed alla fine anche i significati più differenti, quelli che ci sembrano più lontani tra loro, risultano logici, collegati tra loro e si percepisce come abbiano seguito uno sviluppo comprensibilissimo. Il nostro mestiere è risparmiare allo studioso tantissimo lavoro presentandogli tutto ciò che c’è da sapere su una parola e che solo tramite il nostro metodo di indagine può venir rilevato.
2. Storicamente, ma anche attualmente, il contributo degli studiosi italiani al TLL è stato, ed è, notevole. Ci sono a Suo avviso delle peculiarità della formazione classica italiana che vengono particolarmente apprezzate in Germania? E, viceversa, cosa spinge tanti ricercatori italiani a venire qui?
Sicuramente la tradizione tedesca degli studi interessa molto ai giovani studiosi italiani, ma, bisogna dirlo, è anche una questione di finanziamento; molti latinisti italiani vengono in Germania perché qui esistono ancora progetti di ampio respiro, come appunto il Thesaurus, ma anche altri importanti progetti di antichistica presenti presso le varie Accademie delle Scienze. In Italia c’è solo l'Università, ottima nel creare eccellenze, che spesso però non riesce a valorizzare; e ne godiamo noi qui in Germania, perché ci arrivano giovani preparatissimi, capaci di far concorrenza ai tedeschi o agli altri che vengono qui dai vari paesi. Il motivo per cui il Thesaurus – ovviamente io posso parlare soprattutto del Thesaurus -, ha spesso accolto studiosi italiani è a mio avviso molto semplice: in Italia c'è una tradizione di studi latini rigorosamente filologica, che è quello che facciamo noi al Thesaurus, dove non si fanno studi di settore ma si svolge la ricerca di base, sui testi, cosa che gli italiani ancora imparano a fare, addirittura prima degli studi universitari, penso al liceo classico; per un vero filologo italiano, con una solida institutio filologica, passare per il Thesaurus è una tappa d’obbligo. L’attenzione per il testo, per ciò che è veramente scritto nel testo, il tentativo di cavarne le intenzioni dell’autore o quanto di più vicino ad esse, è un tema peraltro di grande attualità, e meriterebbe una riflessione ampia, anche perché può indicare la via per uscire da tante problematiche recenti di fraintendimento quando non di manipolazione delle informazioni.
3. Nell'immaginario collettivo è diffusa un'idea un po' stantia degli studi classici. In che modo la digitalizzazione ha trasformato questo settore? Ha semplificato il lavoro del lessicografo?
Più che semplificarlo, lo ha reso più completo; noi usiamo le banche dati soprattutto per le parole del latino del tardo antico e cristiano, affinchè non ci sfuggano particolari fenomeni linguistici o letteratura secondaria, sempre nel segno della ricerca di completezza, di esaustività. Va detto poi che la digitalizzazione, più che noi, aiuta il fruitore. Il Thesaurus è già online in due versioni, di cui una open acces sull’ Homepage dell’Accademia delle Scienze di Monaco. Ma continuiamo a lavorare e sono previsti cambiamenti che saranno visibili all’utenza in un futuro prossimo, e che riguardano sia il materiale sia i sistemi di input e output. Nostro scopo principale è sfruttare il digitale per permettere al fruitore di reperire nel modo più efficiente possibile tutte le informazioni che noi forniamo, così che nulla possa sfuggire. Come ho già detto, un uso corretto del Thesaurus aiuta lo studioso a risparmiarsi un sacco di lavoro, tante ripetizioni ed anche qualche fraintendimento. Per questo l'avvento della Digitalisierung è un’occasione eccezionale per valorizzare ancora di più il nostro lavoro.
4. Il Suo recente volume Oltre Pompei. Graffiti e altre iscrizioni oscene dall'Impero Romano d'Occidente offre la possibilità di superare due preconcetti piuttosto comuni legati alla letteratura classica: l'austerità dei contenuti dei testi antichi e, d'altro canto, una certa limitatezza nell'immaginare la quotidianità dei Romani oltre le testimonianze, più note, di Pompei. Quanto e perché è utile, oggi, studiare le iscrizioni parietali?
Per una serie infinita di motivi. Devo fare una premessa: quando si parla di iscrizioni parietali si parla di graffiti e tituli picti. Molti li confondono, ma il titulus pictus è un prodotto da professionista, cioè di una persona che per mestiere disegnava lettere e che realizzava su commissione queste bellissime scritte, principalmente manifesti elettorali, con il pennello ed il colore. Il graffito invece è il titulus scariphatus, graffiato con mezzi di fortuna. Chi lo eseguiva agiva spontaneamente, spinto dall’impulso del momento. Questo è uno degli aspetti più affascinanti: i graffiti sono pensieri (o meglio, spesso, sfoghi) tradotti subito in scritte dagli autori, sono gli unici autografi che abbiamo.
Inoltre, grazie ad essi, incontriamo un latino diverso da quello che ci è stato tramandato dagli scritti di Cicerone, un latino scritto da gente comune, e questo fa di loro i testimoni più vicini alla lingua parlata a noi giunti. Troviamo tra l’altro fenomeni, ad esempio la frequente caduta della -m finale dell’accusativo (la stessa che, più tardi, viene sostituita da un segnetto orizzontale in tanti manoscritti), e che è sparita per esempio nell’italiano, che non vanno necessariamente catalogati come errori ma come preziosi indizi per la pronuncia di chi scriveva.
Per non parlare del contenuto di questi testi. Ci sono tantissime parole oscene, altrimenti scarsamente rappresentate ed in pochi autori della letteratura latina. A proposito, esse sono presenti in graffiti da tutto l’impero romano e non solo in quelli ritrovati a Pompei, dove ce ne sono davvero tante, ma per il semplice fatto che a Pompei di pareti, il supporto privilegiato per graffiti, ne sono rimaste in piedi un po’ di più che altrove per i motivi che ben sappiamo.
Tra le parole oscene usate nei graffiti, alcune vengono usate per offendere, diffamare e ferire: tra gli antichi Romani c’era dunque chi faceva esattamente ciò che facevamo noi nei bagni delle scuole o adesso, più frequentemente, su Facebook. Questo è un aspetto che trovo importante: il temutissimo hater dei giorni nostri è già all’opera durante l’Impero romano. L’unica vera differenza è rappresentata dal medium, da cui dipende la divulgazione del messaggio. Molto interessante è anche che le offese o minacce più aggressive sono rivolte da uomini a uomini, non da uomini verso donne. L’espressione pedicabo te ('ti sodomizzerò'), ad esempio, che ricorre con frequenza, è sempre rivolta a un uomo (come del resto in Catullo). Ma questo non perché il verbo descriva un atto sessuale possibile solo fra uomini, come si legge ancora erroneamente in alcuni dizionari; il motivo è che, nei confronti di un uomo, l'offesa è particolarmente efficace, dato che ne mina l’immagine di virilità.
Una donna può venir definita (raramente) fellatrix o fututrix, ma sono offese sicuramente non paragonabili alla valanga di insulti che oggi si leggono su Facebook e non suonano come minacce. Probabilmente la spiegazione di tutto ciò è semplice: a quel tempo non essendo le donne (per lo più) socialmente rilevanti o potenziali rivali, non era necessario attaccarle. Del resto sappiamo attraverso altre testimonianze che le donne più ‘pericolose’ venivano insultate malamente, basti pensare a Lesbia/Clodia, insultata non solo dall’ex amante Catullo ma anche da Cicerone, che arriva ad accusarla di incesto. Il tutto ovviamente in un bel latino scevro da espressioni volgarissime come irrumo o pedico, tipiche dei graffiti. Insomma, lo studio dei graffiti ci porta a trarre conclusioni importanti, anche dal punto di vista sociologico, o, come in questo caso, di genere.
5. Quanto era diffusa l'alfabetizzazione a Roma? A quali tipologie di testimonianze epigrafiche è legato l'utilizzo di oscenità?
I graffiti rispondono un po’ anche alla questione dell’alfabetizzazione, forse meglio di tanti testi classici, ma a mio avviso resta difficile trarre conclusioni definitive. Il fatto che ci siano graffiti scritti da rappresentanti delle classi subalterne, come schiavi, ed altri scritti da donne, potrebbe far pensare ad un’alfabetizzazione diffusa, ma, come scriveva già Harris nel 1983 (Literacy and Epigraphy), dobbiamo chiederci quale percentuale della popolazione di una città, di un villaggio sia rappresentata da questi anonimi. Un altro punto è il livello di alfabetizzazione: alcuni sicuramente avevano un’educazione scolastica, si pensi agli studenti che ci hanno lasciato conti sul muro o che trascrivevano i versi imparati a scuola, ma quanti erano? Altri sembrerebbero aver imparato a leggere e a scrivere ad un livello basso, a giudicare da quelli che parrebbero errori di ortografia e sintassi, e di cui ho già parlato rispondendo alla domanda precedente. Anche la scrittura corsiva, spesso usata nei graffiti (la cui lettura per questo richiede competenze paleografiche) può essere un’indizio sul livello scolastico dell’autore.
Per quanto riguarda le parole oscene, sono i graffiti ad esserne i principali testimoni, e a fornirne attestazioni fondamentali: emblematico il caso del sopio (pene), parola che troviamo nei manoscritti di Catullo e Petronio, ma che subì vari tentativi di correzione dai loro editori perchè non si sapeva cosa volesse dire; è stato proprio un graffito di Pompei a permettere di chiarire la questione. Non si sottovaluti l’importanza di questo vocabolario: il suo uso chiarisce abitudini e costumi della Roma antica, in particolare per quanto riguarda fenomeni di gender ad esso collegati.
Sara Sparagna